Who Wrote Holden Caulfield?, Rating Giallo; AU

« Older   Newer »
  Share  
-Connie-
view post Posted on 26/1/2013, 20:59




{ Capitolo 1: Rejected }




«I'm the son of rage and love, the Jesus of Suburbia
From the bible of none of the above on a steady diet of
Soda pop and Ritalin,no one ever died for my sins in hell
As far as I can tell at least the ones I got away with
And there's nothing wrong with me
This is how I'm supposed to be
In a land of make believe…
»

«…That don't believe in me*.» La voce di Zoro rimbombò tra le pareti della sua stanza, tappezzate di vari poster di Metallica, AC/DC, NOFX, Ramones, Rancid, Clash, Misfits e Green Day. La canzone che stava ascoltando, steso sul letto e con il volume delle cuffie al massimo, era proprio di questi ultimi: Jesus of Suburbia, sicuramente una delle sue preferite. La sua vita era un po' come quella di Jimmy di American Idiot: incasinata fino al midollo. Suo padre, un alcolizzato, aveva finalmente lasciato in pace lui e sua madre andandosene via di casa quando lui aveva soli dieci anni, così sua madre era stata costretta a passare da un lavoro part-time all'altro per mantenere entrambi. Fin da quando aveva quindici anni, ne aveva avuti anche lui diversi per non far gravare tutta la responsabilità su di lei e diventare indipendente, ma facendo così era stato costretto ad abbandonare la via del kendo, che era stata la sua più grande passione – la sua vita – fin da quando era piccolo.
Girò la testa in direzione delle sue tre katane, abbandonate in un angolo della stanza: sembrava quasi che lo stessero chiamando, che lo stessero esortando a riprenderle in mano e a riutilizzarle. Ma non aveva abbastanza soldi né per rimetterle a nuovo – erano di seconda mano, e gli anni si stavano facendo sentire – né per pagarsi i corsi di kendo. Scosse la testa, nel vano tentativo di non pensare alla sua vita da rifiuto della società.
Era stato bocciato ben tre volte nell'istituto superiore che frequentava, dove avevano trovato finalmente una buona scusa per espellerlo quando lo avevano beccato nel bagno intento a fumarsi una canna. Non che ne fumasse molte, anzi: per lui, fare uso di droghe – qualsiasi tipo di droghe – significava essere deboli, e lui non era un debole. Ma, dannazione, certe volte sentiva il bisogno impellente di evadere dalla realtà, così ogni tanto una canna se la concedeva. E se questo era riuscito a farlo espellere, tanto meglio: era felice di non dover più frequentare quella scuola di fighetti, che gli lanciavano occhiatacce impaurite o schifate ogni qual volta che passava per i corridoi con la sua maglietta sgualcita dei Ramones, i suoi tre orecchini all'orecchio sinistro e i suoi capelli completamente rasati, se si escludeva la cresta verde al centro – il colore naturale dei suoi capelli, strano a dirsi – che sfidava le leggi della gravità.
Sua madre, naturalmente, non ne era stata altrettanto felice, e litigavano animatamente ogni qual volta si toccava l'argomento “cosa diavolo ne sarà del tuo futuro”. Per quanto gli riguardava, lei era l'ultima persona al mondo che poteva permettersi di rimproverarlo per una cosa del genere, dato che viveva in una topaia, a quasi quarant'anni non aveva ancora nemmeno un posto fisso, suo marito l'aveva lasciata senza un soldo e tutti i suoi nuovi fidanzati si rivelavano sempre dei gran stronzi.
Però doveva ammettere che aveva ragione. Non aveva la minima idea di cosa ne sarebbe stato del suo futuro, vista la società marcia in cui viveva, ma una cosa era certa: vedeva solo un baratro buio e senza fondo quando ci pensava.
Scosse di nuovo la testa, questa volta per mettere fine a tutti quei pensieri autocommiserativi, e spense il suo MP3. Era ora di andare a lavoro.


*Sono figlio della rabbia e dell'amore / il Gesù della Periferia / dalla Bibbia di nulla di ciò che c'è scritto sopra / che fa una dieta regolare di bevande gasate e ritalin / Mai nessuno è morto per colpa dei miei peccati commessi all'inferno / per quanto ne sappia / almeno quelli che nessuno ha mai scoperto / Ma non c'è nulla di sbagliato con me / è così che dovrei essere / in una terra di persone che fanno finta di essere ciò che non sono / che non credono in me.

[Angolo dell’autrice]
Facendo la semplice somma ZoSan + Il giovane Holden + Green Day è uscita fuori questa AU. Sì, loro sono i miei tre grandi amori. u_u
Il titolo della fic è preso da una canzone dei GD (Who Wrote Holden Caulfield?, per l’appunto) da cui è partita tutta l’idea su cui si basa questa AU, mentre Rejected è una canzone dei Rancid. Non sarà né la prima né l’ultima volta che farò il nome di qualche canzone in questa fic, perciò metterò dei collegamenti con cui potrete ascoltarle, se volete.
Ho sempre immaginato che Zoro, nel nostro universo, sarebbe stato un punk/metallaro, ed eccolo qui, infatti. XD Il suo aspetto è esattamente quello di Zoromichi in School Time, uno dei Teatrini di Oda. ^^
Posterò più o meno ogni una-due settimane, quindi non dovrete attendere molto (anche perché molti capitoli sono già finiti). u_u
Be’, alla prossima! ;)
 
Top
-Connie-
view post Posted on 31/1/2013, 17:53




{ Capitolo 2: In Debt }




Zoro scese di corsa dall’autobus, col fiatone. Dannazione, era mai possibile che sbagliasse sempre linea e si perdesse ogni santissima volta che doveva andare a lavoro? Era almeno la quarta volta che arrivava in ritardo, quella settimana.
Si mise a correre per qualche decina di metri, prima di fermarsi davanti ad un pub ed entrarci, cercando di dare nell’occhio il meno possibile.
Il Chiper Pol n.9 o, come lo chiamavano tutti, CP9, era un pub frequentato soprattutto da punk – e questo era sicuramente uno dei motivi per cui fosse stato assunto nonostante la sua cresta improbabile. Si trovava in periferia ed era abbastanza grande e molto conosciuto in quegli ambienti. L’interno non era un granché, ma anche solo il fatto che spesso alcune band emergenti si esibivano sul piccolo palco al centro della sala riusciva ad attirare parecchia gente.
Il posto e l’ambiente gli piacevano, e in più il suo orario di lavoro era dalle undici di mattina fino alle cinque del pomeriggio, il che aiutava molto visto che la mattina presto non riuscivano a svegliarlo manco le cannonate – tanto che una volta era stato bocciato proprio per le sue troppe assenze dovute a questo suo problema –; in più la paga era abbastanza buona, quindi non si poteva lamentare. L’unica cosa che proprio non sopportava era il proprietario, Lucci. Sperava solo di non incontrarlo in quel momento, altrimenti si sarebbe incazzato come una bestia nel vederlo arrivare per l’ennesima volta in ritardo.
«Roronoa, dove diavolo stai cercando di andare?»
Ecco, appunto.
Si girò verso il punto da cui proveniva la voce con tutta la calma del mondo, esclamando un «'giorno, capo» come se nulla fosse.
Lucci, vestito con la solita maglietta bianca in contrasto con le bretelle nere dei pantaloni e col solito cappello a cilindro, nero anch'esso, lo fissava con uno sguardo truce. L'unica cosa che stonava con quell'aria austera che non lo abbandonava mai era il suo fedelissimo piccione, Hattori, che se ne stava sempre appollaiato sulla sua spalla e gli conferiva un’aria quasi… buffa.
«Non è un po’ troppo tardi per presentarsi a lavoro?» chiese Lucci, con tono sarcastico.
«Beh, ecco…» Zoro portò nervosamente una mano a grattarsi i capelli dietro la nuca. Accidenti, non aveva la minima idea di come fare per togliersi dai guai, questa volta.
Stava per provare ad inventarsi una qualsiasi scusa plausibile, quando qualcun altro si intromise nel discorso, prendendo le sue difese.
«Dai, Lucci, in fondo sono solo dieci minuti, non è la fine del mondo!»
Nonostante fosse ateo, ringraziò mentalmente qualunque dio lassù gli avesse concesso la grazia di far arrivare in suo aiuto la sua ancora di salvezza: Kaku. Era una specie di vice-capo lì, nonostante avesse soli ventitré anni – ma tutti dicevano che sembrava molto più vecchio della sua effettiva età, forse per via della sua aria particolarmente matura. Era più grande di Zoro di sei anni, ma tra di loro si era instaurato un rapporto di simpatia e rispetto reciproco fin da subito.
Fortunatamente per lui, Kaku era anche la persona che Lucci prendeva più in considerazione e di cui più si fidava, quindi non gli ci volle molto per farlo calmare e fargli chiudere un occhio per il suo ritardo. Quando l’altro si fu allontanato abbastanza, Kaku si lasciò andare a un sospiro di rassegnazione. «È mai possibile che debba sempre pararti il culo, Zoro?» disse, girandosi nella sua direzione.
Zoro ridacchiò. «Ti devo un altro favore, Kaku.»
«Nessun problema» rispose quello ammiccando, per poi dirigersi nella stessa direzione in cui si era diretto Lucci.
L’altro si diresse invece verso la stanza del personale, dove si preparò e indossò il grembiule da cameriere. Era pronto per un’altra giornata di lavoro.


«Rufy, si può sapere dove diavolo mi hai portata?!»
Quell’urlo fece voltare Zoro, che aveva appena finito di prendere le ordinazioni di due tizi pieni zeppi di piercing e tatuaggi, verso l’ingresso del ristorante. Una ragazza dai capelli arancioni e corti fino alla spalla aveva appena mollato un pugno in testa al ragazzo che l’accompagnava, e aveva anche un’aria piuttosto irritata.
«Tu questo me lo chiami “bel posticino”?» urlò di nuovo, esasperata. «E io che pensavo che saremmo andati in qualche ristorante del centro…»
«Su, Nami, non te la prendere!» tentò di calmarla il ragazzo, che portava stranamente un cappello di paglia in testa. «Ho sentito dire che fanno del cibo squisito, qui!»
L’altra sembrava sul punto di avere una vera e propria crisi di nervi. «Ma certo, tu pensi prima al cibo e poi alla tua ragazza! Ma che parlo a fare, tanto sei un cocciuto di prima categoria…» Sospirò, rassegnata. «D’accordo, mangeremo qui, però devi promettermi che offrirai tu!»
Il ragazzo dal cappello di paglia ridacchiò, quasi si fosse già aspettato quella reazione. «Ok, lo prometto!»
Mentre Zoro li vedeva prendere posto ad un tavolo per due, pensò che fossero una delle coppie più strane e litigiose che avesse mai visto.
Si avvicinò al loro tavolo, prese le ordinazioni e un po’ sorpreso – quel ragazzo, Rufy, aveva ordinato una quantità di cibo che sarebbe bastata a sfamare almeno venti persone! – le portò al cuoco, Blueno.
Quando portò loro quello che avevano preso, il ragazzo dal cappello di paglia ingurgitò tutto – ma proprio tutto, anche il cibo della sua ragazza – in pochi minuti, lasciando Zoro ancora di più di stucco. Al mondo esistevano persone proprio bizzarre, davvero.
Intanto mise su un vassoio i due boccali di birra ghiacciata che avevano invece chiesto due tatuati, e si avviò verso il loro tavolo.
Peccato, però, che un ragazzino coi capelli tinti di rosso fuoco, per fare il figo davanti ai suoi amici, ebbe la brillante idea di fargli uno sgambetto. Il vassoio volò per qualche metro, insieme ai boccali e al loro contenuto, mentre Zoro cadde rovinosamente a terra.
Iniziò a pulsargli un’enorme vena in fronte e, come avvolto da un’aura omicida, si alzò e afferrò per il colletto l’artefice di quello scherzo.
«Oi, stronzo, cerchi rogne?» gli disse, col tono di voce più intimidatorio che possedeva. Quel moccioso l’aveva fatto veramente incazzare.
Il ragazzino perse di colpo tutta la sua spavalderia, facendosi bianco come un lenzuolo dalla paura e cercando di divincolarsi, inutilmente.
Zoro gli avrebbe anche mollato un cazzotto in pieno volto, se solo non avesse avvertito la presenza di un qualche pericolo alle sue spalle.
«Ehi, tu, come pensi di riparare questo guaio, eh?!»
Si voltò di scatto. Nel farlo, però, si distrasse, facendo scappare il ragazzino e il suo gruppetto di amici a gambe levate dal pub. Ma Zoro se ne dimenticò completamente, vista la gravità della situazione che gli si presentava davanti. Quella ragazza, Nami, era bagnata fradicia dalla testa ai piedi di quella che si sarebbe detta birra, e aveva gli occhi iniettati di sangue puntati su di lui. Oh, merda.
«Ti rendi minimamente conto di quanto mi sia costata questa camicia?! Me l’hai completamente rovinata! E guarda i miei poveri capelli!»
La strega – sì, un soprannome del genere le calzava a pennello – iniziò un interminabile elenco dei danni subiti, tra fisici, psicologici e, soprattutto, economici. Diavolo, a sentirla si sarebbe potuto dire che le avesse fatto un danno irreparabile, altro che bagnata con un po’ di birra.
«Quindi» finì, «pretendo che tu mi paghi almeno il prezzo dei vestiti!»
«Cosa?!» esclamò l’altro. Cazzo, il suo stipendio e quello di sua madre bastavano a malapena ad arrivare a fine mese, figurarsi se poteva sopportare una spesa del genere!
Le cose non potevano andare peggio di così.
«Non ci penso nemmeno» replicò, infatti. «E’ solo un po’ di birra, quante storie!»
«Questo lo dici tu.» Il sorrisetto che le spuntò in faccia non gli piacque proprio per niente. «Ma cosa ne direbbe il tuo capo
Ecco, quella strega poteva fare in modo che le cose andassero peggio di così eccome. Lucci già si lamentava di lui anche fin troppo spesso, se poi fosse venuto a sapere quello che aveva combinato, l'avrebbe licenziato in un istante. In più tutto il casino che stavano facendo aveva iniziato ad attirare l'attenzione degli altri clienti e, cosa ben peggiore, quella degli altri camerieri, Jabura e Kumadori – senza contare Fukuro, la persona più pettegola che si sia mai vista sulla faccia della terra. Una volta, scherzando, Kaku gli disse che probabilmente nemmeno chiudendogli la bocca con una cerniera si riuscirebbe a tappargliela definitivamente. Ed era perfettamente d’accordo con lui.
«Ok, d’accordo» sibilò Zoro, consapevole di non avere altra scelta. «Ma non ho soldi con me, ora»
«Non c’è problema» disse quella, con la faccia di chi ha appena ottenuto ciò che voleva. Dio, quanto gli dava sui nervi. «Domani sera puoi passare al club e portarmeli.»
Al club? Di che diavolo stava parlando?
«Ah» continuò, come se si fosse improvvisamente ricordata una cosa di vitale importanza. «Sono 30.000 berry*, tondi tondi.♥»
Zoro deglutì. 30.000 berry. 30.000 berry. I suoi risparmi non erano sufficienti, e quella strega li pretendeva per il giorno dopo! Come diavolo avrebbe fatto?!
«Forza, Rufy. Paga, ché ce ne andiamo.»
Quel Rufy, che invece aveva tutta l’aria di essersi divertito un mondo in quegli ultimi cinque minuti, andò alla cassa e pagò il conto a Califa – la ragazza che si occupava della contabilità. Prima di andarsene con la sua ragazza, che lo stava aspettando all’uscita, si avvicinò a Zoro, il quale stava ancora pensando all’enorme debito che gli era stato addossato.
«Mi dispiace che Nami ti abbia costretto a pagarle i vestiti. Ma non è una cattiva ragazza, davvero» disse, mantenendosi il cappello di paglia con una mano. Doveva essere un gesto che gli veniva in modo molto naturale, dato che gliel’aveva visto fare più di una volta. «Senti, domani vieni al club prima delle sette, così ti posso dare io i soldi senza che se ne accorga.»
Questo lasciò Zoro di sasso. Gli voleva dare lui i 30.000 berry per la ragazza? Ma lo stava prendendo per il culo o cosa?
«Mi raccomando, non dopo le sette, altrimenti ti ritroverai veramente nei guai. Il posto è questo indicato sul bigliettino.»
Tirò fuori dalla tasca del pantalone un piccolo biglietto bianco e glielo porse, prima di correre verso l’uscita del pub dove Nami si era messa a sbraitare sul fatto che spariva sempre da qualche parte o giù di lì.
Zoro li guardò allontanarsi, prima di posare lo sguardo sul biglietto. Sopra c’era una piccola mappa e un indirizzo, seguito dal nome del posto.
«Mugiwara… Club?»


*Ho preferito usare i berry come moneta per mantenere l’anonimità e la generalità del luogo in cui la fic è ambientata.

[Angolo dell’autrice]
Io adoro la Lucci/Kaku. Può anche non sembrare, ma io la adoro. E un accennino(ino-ino XD) ci voleva per forza. ù_ù
In questo capitolo c’è un po’ l’antefatto di tutta la vicenda, quindi stiamo entrando nella trama vera e propria. Non ho altro da dire, se non di farmi sapere che ne pensate e cavolo, amo alla follia Zoro versione punk/metallaro! *-*
Alla prossima! ^^
 
Top
1 replies since 26/1/2013, 20:59   72 views
  Share