{ Prefazione }
Dunque *-*.
Comincio con il dire che è la prima ZoSan che scrivo, ma non è la prima FF. Non so se sia un bene o un male sinceramente, a questo punto, ma tornando alla storia ho deciso di scrivere qualcosa di diverso, cercando però di mantenere un minimo di classicità.
Non credo di essermi spiegata bene, povera me, ma ci sto provando ç_ç.
E' un esperimento, mi direte voi come procederà.
I personaggi potrebbero comunque andare in OOC, anche se cercherò il più possibilmente di controllare e ricontrollare le battute per evitare questo dilemma.
Pian piano posterò i vari capitoli, se li trovate troppo lunghi, pesanti o con pochi colpi di scena fatemelo sapere subito che magari li modifico andando avanti con il tempo ;D.
Altra cosa: questo non è proprio un primo capitolo, credo sia più un introduzione.
Bene, concludo con il dire che i personaggi di One Piece avranno ruoli diversi poiché li ho tirati fuori dal contesto e messi nella realtà di un mondo uguale al nostro, perciò ovviamente Robin non potrà mai stare in classe con Rufy e gli altri, per esempio.
Scusate, è un esperimento, davvero, spero vada bene!!
Grazie per l'attenzione.
Buona lettura!
{ Rimescoliamo le Carte }
* Capitolo:
Terzo Giorno di Scuola.
Sono strano, adesso me ne rendo perfettamente conto.
Mi rendo conto che qualcosa, in me, non gira proprio nel verso giusto, e credo di sapere cosa sia: è una piccola manopolina, dentro la mia anima, che ha deciso di abbandonarmi oggi e non, come forse sarebbe stato più normale, due giorni fa. Adesso, questa stronza, ha deciso di girare nel senso opposto a quello di marcia, trasformandosi in un elemento per me più che mortale, che è comunemente chiamato “
Sfortuna” da coloro che possono permetterselo, diciamo da quelli che soffrono di una lieve malformazione della fortuna, che di tanto in tanto hanno qualcosa che non va, oppure che hanno la solita giornata “
no”, ma per me purtroppo si tratta di “iella pura”. Possiamo definirla come lo stato avanzato della Sfortuna, l’unica differenza è che la mia è cronica e non ha un rimedio, o per lo meno non ancora, e non lo avrà per molto tempo.
Premettendo che non sono mai stato oggetto d’interesse per la Fortuna in sé, diciamo che oggi non mi ha degnato nemmeno della sua presenza, o almeno di uno sguardo… mi ha “
tolto il saluto”, come ha detto qualcuno, da qualche parte, in qualche tempo.
Non che m’importi, tanto o è morto oppure sta per farlo.
Visto che io, invece, sono ancora vivo, direi che è meglio se mi concentro sul mio fiato e sulla corsa, dopotutto alla prossima fermata del 25 mancano solamente duecento metri e l’autobus è a pochi passi da me. Sento lo stridio di gomme dietro alle mie spalle che si avvicina, accompagnato da una folata di vento che non mi lascia indifferente.
Faccio un altro sforzo, lanciandomi di netto verso la mia meta. I miei muscoli fanno un po’ di capricci, non sono contenti di esser stati svegliati così bruscamente e non hanno tutti i torti.
Li ignoro e, mentre il mezzo pesante mi sorpassa, comincio a rallentare, sto andando troppo veloce, andrà a finire che mi schianterò contro il cartello giallo graffiato che indica la fermata, nella migliore delle ipotesi, nella peggiore, contro una coppia di vecchi che stanno per salire sul 25, appena aperte le porte. A pochi metri dall’arrivo mi blocco di colpo e quasi non faccio un volo in avanti, evitando di sbattere il grugno contro il palo giallognolo per due centimetri. Cerco di riprendermi velocemente mentre salgo sul mezzo, poi, con ancora il fiatone, mi avvicino verso l’ultima fila di posti, lancio lo zaino sul sedile accanto al mio e mi lascio cadere, scivolando giù, sullo schienale ruvido e scomodo di quel trabiccolo.
Più di una volta, da quando prendo quest’autobus (quanto sarà, sette, otto anni?), ho sempre pensato che fosse una trappola, pronta a esplodere da un momento all’altro con tutte le persone sopra per quanto è malmesso, ma purtroppo questa è l’unica linea che porta fino al centro città e alla zona industriale e mi tocca usarlo. Alla fine, a dire il vero, ci ho fatto anche l’abitudine, e sono riuscito, a forza di frequentarlo, a trovare i suoi vantaggi, tra cui il fatto che i controllori non ci mettono neanche piede dentro, quasi fosse invaso dalla peste, così risparmio soldi per i biglietti.
Lancio un’occhiata di fronte a me: non tutti i posti sono occupati, ci sono più persone del solito e non me ne stupisco affatto. Sospiro, mi volto verso il finestrino e sposto lo sguardo stanco e assonnato al paesaggio che scorre sotto i miei occhi: muri pieni di scritte e tag si parano di fronte a me. Ormai li ricordo tutti a memoria. Di alcuni conosco persino l’autore e un sorriso mi spunta sulle labbra al ricordo. Il cielo è opaco, non è proprio una delle giornate migliori che ci siano state in quest’ultimo periodo. Mi stupisco che ancora non mi sia beccato l’acquazzone.
Prendo il mio Mp3 dalla tasca dello zaino come se fosse un gesto meccanico e lo accendo. Non è proprio di ultima generazione, anzi, direi che è della prima, ma mi sta bene anche così. È nero e spesso quasi 3 centimetri, perché ha le casse incorporate che escono fuori dalla parte inferiore con un gesto della mano. Io lo chiamo “
Citofono”.
Mi metto su le cuffie che mi coprono tutte le orecchie con i cuscinetti morbidi e mi estraneo dal mondo; tanto, per arrivare, ci metterò circa 20 minuti.
Finalmente mi rilasso un po’, ma sono ancora convinto che quella manopola sia girata nel senso opposto.
Sarà forse perché è il terzo giorno di scuola e sono un’ora in ritardo?
Avanzo verso il cancello, subito dopo aver attraversato la strada e premo il pulsante rosso sotto la bocca del citofono, perché sì, la mia scuola ha un inutile citofono che nessuno sa bene a cosa serva, né da chi sia stato messo, né tantomeno da
chi sia stato richiesto. Io so solo che mi sta facendo perdere un sacco di tempo.
Dopo qualche secondo di silenzio nel quale cerco di tenere i nervi saldi, una voce metallizzata esce da quel coso, parlandomi:
-Scuola Superiore Carte, chi è?-
-Roronoa Zoro, devo entrare in terza ora-
-Classe e sezione?-
-5° C-
-Numero di entrata?-
-945772-
Con uno strano rumore e un “
clank metallico, la porta si apre e mi lascia passare. Cammino e percorro circa 20 metri prima di salire alcune scalette che portano all’entrata vera e propria della scuola. Come edificio non è piccolo, anzi, ma di certo non dovete aspettarvi qualcosa di enorme. Insomma, un edificio nella media, no? Ci sono parecchie sezioni, ma stiamo tutti comodi, le classi sono grandi e spaziose (almeno quelle in cui sono stato io per questi cinque anni) e la palestra è ben attrezzata. Pensa, abbiamo anche un’infermeria, che però non è praticamente usata da nessuno perché per andarci è necessario il permesso del professore, che non viene quasi mai accordato, quindi è come fare un terno all’otto.
Sospiro sommessamente, entro dentro e mi avvio verso la segreteria, posta sulla destra dell’entrata. Non che sia chissà che, è semplicemente un bancone dietro il quale c’è una donna china su delle cartacce da firmare. Oddio, definirla “
donna” non è proprio il caso, forse “
fossile umano” sarebbe più azzeccato.
Non appena le arrivo vicino, questa alza la testa e un insieme grottesco di rughe mi fissa da dietro un paio di occhiali a mezza luna rossi.
-Si?-
-Devo firmare l’entrata in terza ora-, ripeto per l’ennesima volta mantenendo il tono più pacato possibile. Qui, se dai in escandescenze peggiori solo le cose, e in più non voglio perdere altro tempo. Ho già saltato un’ora e mezza e tra poco meno di trenta minuti suonerà quella della terza ora. Non ho intenzione di perdermi l’ora di Educazione Fisica neanche se mi pagano.
Da dietro l’ammasso di rughe e capelli rossi cotonati (finti, perché si vede che sono finti), il suo sguardo mi trafigge per qualche istante, prima che, senza aggiungere parola, mi viene rifilato un registro dalla copertina verde. Un dito scheletrico mi indica il giorno di oggi.
La procedura la so: più di una volta sono arrivato in ritardo o uscito prima per motivi più o meno superflui, a dirla tutta.
Scrivo di nuovo la data e metto una sigla, poi mi sposto e a destra scrivo il motivo per cui sono arrivato così tardi (“
Motivi Personali” va più che bene) prima di concludere con la mia firma estesa. Finalmente!
Le ripasso il registro, quella donna lo prende e subito lo rimette al suo posto, sotto la scrivania, tra tanti di quei fogli che penso ci sia stata una deforestazione in zona, per poterli produrre così in massa.
Non aspetto indicazioni e mi avvio direttamente verso la palestra.
È una delle poche della scuola che si trovano al pian terreno, insieme al laboratorio di fisica/chimica, quello informatico e persino quello teatrale ha uno spazio al pian terreno, proprio vicino all’Aula Magna.
Meglio così, non devo faticare per arrivare all’ultimo piano (perché sì, la mia classe, oltre che a essere piccola e composta da circa 20 ragazzi, è al quinto piano, e ovviamente non si può usare l’ascensore. Quello è solo per persone che hanno problemi a salire, tipo il vicepreside, che lardoso com’è solo in quel modo può raggiungere le sue classi).
Percorro un lungo corridoio e svolto a destra, poi sempre dritto mi fermo un secondo. Oddio, quest’anno qual è lo spogliatoio maschile? L’anno scorso è successo un casino perché c’è stato uno scambio d’icone sulle porte, spero sinceramente per loro che siano stati più attenti questa volta, altrimenti prendo un bastone e glielo ficco su per il…
Mi decido ed entro dentro lo spogliatoio a destra, lancio il mio zaino su una delle tante panchine di legno e faccio in modo di nascondere bene l’Mp3, il telefonino, le chiavi di casa e quei pochi spicci che ho per il pranzo, dopodiché esco, tanto sono partito da casa in tuta, avendo visto l’orario più che improponibile.
Apro la porta della palestra quanto basta per sbirciare dentro: due classi stanno facendo stretching e il professor Kamei dà loro il tempo.
-Un, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, più veloci!- lo sento dire. Chiudo la porta alle mie spalle e gli faccio segno in silenzio di poter entrare. Mi lancia un’occhiata veloce e annuisce, continuando a impartire gli ordini, battendo le mani con forza.
-Su quelle gambe! Contrai questi muscoli! Fissali! Di nuovo!-.
Mentre faccio il giro largo, mi do un’occhiata intorno: sono tutti ragazzini di primo e mi viene da ridere. Porelli, li tratta così, ma questi già non hanno più fiato neanche per contare!
Mi siedo sulla cattedra a gambe incrociate come se niente fosse e guardo la scena. Kamei è un uomo basso, o per lo meno lo è più di me, ora come ora mi arriva appena alla spalla, quindi suppongo che sia... un metro e sessanta? Eppure vi posso garantire che la sua forza è mostruosa. Ha i capelli tra il bianco e il grigio, segno della giovinezza che ormai l’ha abbandonato quasi del tutto, corti, rasati dietro alla nuca.
-Stooop! D’accordo, prendete una palla e cominciate a giocare!- li lascia finalmente liberi di fare ciò che vogliono. Un sospiro di sollievo collettivo si alza nella palestra e tutti cominciano ad andare verso il ripostiglio degli attrezzi, mentre lui, invece, si avvicina verso di me. Mi guarda con quei suoi occhietti scuri e brillanti, prima di ridacchiare.
-Di solito non si viene in ritardo il primo giorno di scuola?-
-Lo sapete che sono strano, professore-
-Si, fin troppo-, mi dice, mettendosi vicino a me, sedendosi sulla cattedra, usata solo per poggiare il registro da qualche parte che non sia il pavimento, alla fine.
-Vedi di non combinare guai quest’anno. Non riuscirò più ad alzarti la media come gli anni scorsi, questo lo sai no?-
-Si, lo so bene…-
-Hai gli esami, l’ultimo anno è il più duro, vedi di darti una mossa, altrimenti rimani indietro come al solito e dovrò prenderti a calci per recuperare-, mi rimprovera severo, ma quel tono ormai lo conosco bene, è quello di un amico che ti dà un consiglio più che saggio e che si farebbe bene a seguire.
Faccio spallucce e rido.
-Vedrò del mio meglio- gli prometto.
-Ma se i professori fossero meno pallosi sarebbe una svolta…-
-Ehi, non è che parli di me, vero, ragazzino?!- mi dà uno scappellotto sulla spalla abbastanza forte da farmi sbilanciare e far cadere dalla scrivania. Ugh, dolore.
-…Io mi riferivo
solamente a lei, il che è diverso!- ridacchio, rialzandomi, ma evitando di tornargli vicino per non beccarmi qualche scarica di pugni. Dopo il brutto risveglio muscolare che ho avuto questa mattina preferisco non traumatizzare il mio corpo ancora di più.
Come risposta mi becco un bel calcio in culo e l’ordine di cominciare a riscaldarmi alle sbarre. Insomma ha mangiato pane e simpatia questa mattina eh?
Inizio a correre intorno alla palestra, ancor prima di allenarmi all’asta e al quadrante, preferisco riprendermi un po’. Dopo circa cinque o dieci minuti di corsa lenta, calciata e laterale, faccio qualche scatto finale e comincio a stirarmi i quadricipiti.
Quest’ultima mezz’ora in palestra passa più velocemente di quanto avessi mai potuto immaginare. Forse è perché mi trovo molto più a mio agio qui dentro che in qualsiasi altro posto (certe volte persino più che a casa mia), e quindi c’è una concezione del tempo molto più veloce rispetto al normale.
Non mi fermo neanche al suono della campanella, continuo comunque ad allenarmi. Adesso sto facendo la terza di una serie di addominali da cinquanta ciascuna. Sembra difficile, ma se si respira con regolarità, vi posso assicurare, non lo è poi così tanto. Certo, non è una passeggiata, ma tutto si basa sulla respirazione.
È una delle cose che Kamei mi ha insegnato in palestra, e non parlo di quella nella scuola. Io lo conoscevo da molto prima, ormai saranno quasi sei anni che ci picchiamo dove capita. Mi ha aiutato molto, anche a superare la morte di mio padre.
Mentre sono nel mezzo della serie, qualcosa mi riporta bruscamente alla realtà, facendomi quasi sobbalzare. Una voce acuta, che supera, a mio parere, i 2.000.000 decibel.
-ZOROOOOOO! Sei in ritardo anche questa volta!!-
Una faccia buffa mi si para davanti agli occhi. Dei ciuffi neri di capelli mi cadono sulla fronte e un sorriso scintillante mi sta a meno di dieci centimetri dal viso.
-Rufy… EVITA!- e gli parto di capoccia, facendo scontrare la mia fronte con la sua.
Ci alziamo entrambi e lui cade a sedere accanto a me, massaggiandosi la parte dolente.
-Ahia! Ma che bisogno c’era di picchiarmi?!-
-Sei tu che mi hai disturbato, se non rompevi le balle non succedeva-
-Ma volevo solo salutarti!-
-Non saltandomi addosso in quel modo!-
-Rufy? Che succede…? Oh, Zoro, ciao!-
-Ciao Usopp…- saluto tranquillamente anche l’altro tipo che è arrivato a farci compagnia: un ragazzo della nostra stessa età (ovviamente, stiamo tutti in classe insieme). Capelli ricci, neri, un po’ mandati per aria, ma a lui piacciono così, occhi neri ed un naso tanto lungo quanto strano. Che sia la versione moderna di pinocchio? Comunque sia è uno dei pochi della nostra classe che, seppur essendo un cretino, ha un po’ di sale in zucca. Non mi dispiace.
Rufy, invece, è l’ingenuità fatta persona. Sarà che è più piccolo di noi di un anno (ha fatto la primina, credo, per trovarsi qui… anche se ha sempre passato tutti gli anni con la media risicata di un sei scarso. Una volta è arrivato al sette però), ma è il più scemo di tutti e fa cacchiate insieme ad Usopp durante ogni ora, in qualsiasi momento. Sono un associazione a delinquere quei due insieme. Sono pure compagni di banco, e vi ho detto tutto…
-Il primo ritardo per il terzo giorno di scuola, ti senti realizzato?-
-Si, direi di si-
-Bene! Bravo, così si fa!- il pollice alzato del naso lungo mi sventola davanti alla mano.
-Ragazzi, che si dice?- l’ennesima voce si aggiunge al coro. È ancora più acuta di quella di Rufy, ma è semplicemente perché si tratta di quella di una ragazza. Nami, capelli arancione fluo e talmente tante tette da sembrare una mongolfiera, ci ha degnato della sua presenza. Non fraintendete, non mi sta antipatica, solo mi diverto a sfotterla, seppur ogni volta ci rimedi un sacco di botte.
-Ehi, Nami! Niente, palavamo del fatto che Zoro ha già fatto il suo primo ritardo! Se l’è bruciato!-
-Oh bé non ci potevamo aspettare di meglio no?-
-Ohi, ohi! Piantatela di sfottere. ‘Azzo volete? È la sveglia che non ha suonato, altrimenti sarei stato puntuale!- ribatto prontamente, alzandomi in piedi e sovrastandoli.
Tutti.
-Ma vaaa, dai, lo sappiamo tutti che sei restio ad alzarti la mattina!-
…
-Restio?- domando subito.
-Già-
…
-Restio- ripeto.
-Significa che non lo fai volentieri, Zoro-
-Lo so che significa, ti pare?! Mi chiedevo solo perché dovessi usare parole così strane-, dico con una scrollata di spalle, incrociando le braccia sul petto, mentre ai miei lati quei cretini di Usopp e Rufy si divertono a fare delle facce strane. Che poi mi fanno quasi impressione.
Pian piano arriva tutta la classe, amici e nemici, che riempiono la palestra e cominciano a chiacchierare del più e del meno.
In effetti, l’ora di educazione fisica è l’unico momento in cui abbiamo più tempo per chiacchierare, tra un gioco e l’altro.
Si aggiunge a noi Bibi, la migliore amica di Nami. Tra le due non ho idea di chi ha i capelli più strani, visto che Bibi li ha azzurri e Nami arancioni fluo, ma comunque non posso dire niente a riguardo.
Io ho i capelli verdi, dopotutto.
-Allora, facciamo l’appello! Fate silenzio!- ci azzittisce subito il professore.
A dire il vero, per far chiudere la bocca a Rufy gli ci vuole un lancio di registro sulla testa e poi può cominciare a parlare.
I nomi li conosce a memoria, e anche i cognomi, ci ha sempre seguiti lui, dal primo all’ultimo anno di liceo, quindi ci si è anche affezionato.
L’elenco scorre veloce, fino a che non mi rendo conto che c’è troppa… calma? O meglio sono troppo rilassato, il che non è da me.
Mi guardo un po’ in giro e sì, ci ho visto giusto.
Sono rilassato ed è una sensazione troppo piacevole.
Peccato però che non appena stia per godermela a pieno, una sensazione tremendamente fastidiosa (quasi quanto il gesso intero sulla lavagna) mi fa rabbrividire e innervosire al contempo.
-Scusatemi, Sanji è assente?- chiede il professore.
-No, credo sia andato a cambiarsi!- spiega Bibi, accanto a me.
Mi basta un’occhiata di Kamei per capire che dovevo essere
io a doverlo andare a cercare nello spogliatoio.
Ma porca Eva?
Alzo gli occhi al cielo e, ciondolando, sbuffo.
-Perché io?- domando retoricamente lanciandogli un’occhiata furiosa a dir poco.
-Subito, Roronoa- mi liquida il professore.
Sbuffo sonoramente e mi giro, avviandomi verso gli spogliatoi. –Vado a prendere quell’idiota, torno subito. Tu sei certa che sta lì dentro vero, Bibi?-
-Bé non ne sono sicurissima, dopotutto non sono entrata lì dentro, ma dove altro potrebbe stare?-. Non ha tutti i torti.
Ma comunque non c’è motivo per il quale dovrei essere io quello che deve alzare il sedere e andare a prenderlo. Potevano farlo benissimo anche Rufy e Usopp, va bene che in due non riescono a fare un cervello buono, ma potevano fare un tentativo!
E poi non ci vuole una scienza per arrivare fino agli spogliatoi no?!
Quando arrivo di fronte alla porta mi blocco un attimo prima di aprirla girando la maniglia quadrata.
-Ohi, biondino del cavolo? Sei qui? Stiamo facendo l’appe---.
Mi blocco, come pietrificato.
Forse ci ho ripensato.
Forse non sono io che sono strano.
Forse è tutto il mondo che è complicato ed è più fortunato di me.
Altrimenti non si spiega come, durante il terzo giorno di scuola, dopo essere entrato due ore in ritardo, mi ritrovo ad aprire la porta e a trovarmi di fronte l’ultimo dei ragazzi che avrei voluto vedere in tutta la scuola, completamente, o quasi, nudo.
*End Part One